Quando si perde qualcuno senza averlo potuto salutare

In questo brutto periodo, a causa dell’epidemia e delle strategie attuate per gestirla (giuste o meno, scientifiche o meno), vivere un lutto appare ancora più difficile e doloroso di quanto possa essere normalmente: tante persone hanno perso qualcuno senza nemmeno aver avuto la possibilità di stringergli la mano nei suoi ultimi momenti ed addirittura venendo privati anche della possibilità di salutare la salma. Quest’ultimo aspetto è decisamente problematico perché il vedere la morte, ossia il vedere la persona morta, aiuta ad oggettivare il suo stato mentre non vederla può contribuire all’instaurazione di uno stato di lutto complicato, a causa del rifiuto della morte stessa che non può essere riscontrata nella visione e nel contatto con la salma.

E’ stato dimostrato, infatti, che il lutto relativo a persone disperse in incidenti e mai più ritrovate ha durata, implicazioni e conseguenze diverse rispetto ad un lutto elaborato anche grazie all’immagine del morto e nella attuale situazione la perdita di una persona cara senza poterla vedere sul letto di morte, ma nemmeno nella bara, si configura in maniera molto simile. In caso di incidenti aerei o di naufragi l’impossibilità di vedere il morto può portare ad atteggiamenti di negazione con giustificazioni come “potrebbe aver perso l’aereo” mentre nei casi tristemente noti di coloro identificati storicamente come “Desaparecidos” si aveva uno stato del defunto inconoscibile tanto da non poter essere ancora considerati morti ma nemmeno potevano essere considerati ancora vivi, lasciando i loro familiari incapaci di definirsi, non sapendo se fossero ancora genitori, figli, mogli o mariti oppure orfani o vedovi, situazione che privava della certezza della perdita, unitamente alla coscienza della violenza subita.

Nei casi, purtroppo attuali, delle morti nei reparti di isolamento, ai parenti viene negato l’ultimo saluto e l’ultimo contatto, anche quello con il defunto, inducendo in maniera subdola uno stato inconscio di incertezza della morte e, possibilmente, di incredulità.

Nel lutto ci sono infatti vari aspetti che devono essere elaborati, non in stretta sequenza e non necessariamente tutti ma questo è al momento irrilevante; uno di questi aspetti è l’incredulità: ci sono momenti nei quali il sopravvissuto non riesce a credere che la persona non ci sia più, ne sente la voce, ne avverte la presenza in casa ed in quei frangenti il poter richiamare un’immagine chiara della persona distesa nella bara in attesa delle esequie è l’unico vero appiglio per rimanere nella realtà della perdita. Il non avere questo appiglio potrebbe comportare, in qualche misura e per qualche tempo, una difficile percezione della realtà con una convinzione che la persona non sia realmente morta, mettendo in campo anche fortissime resistenze nei confronti di chi tenti di aiutare la persona ad accettare il fatto, oltre a possibili implicazioni di tipo psicotico.  

Questi possono essere i prodromi di quello che si chiama “lutto complicato”, che se non gestito nel migliore dei modi può protrarsi per anni e con conseguenze anche drammatiche sulla sanità mentale del sofferente.

Se ci si accorge che qualcuno sta vivendo il proprio lutto con atteggiamenti contraddittori la cosa migliore è cercare di stimolarlo a farsi aiutare, senza pensare di essere invadenti ma ritenendo, a ragione, che si sta operando per il bene.

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